VISITA GUIDATA

Galati, sino all’inizio del Rinascimento, fu una città murata; la cinta muraria aveva due porte: la porta marina che sorgeva nei pressi dell’attuale chiesa di s. Caterina e la porta montana, prossima alla chiesa di s. Martino, poi dedicata al SS. Salvatore e infine alla Madonna del Rosario. Questa porta è ancora ricordata nella toponomastica cittadina con il nome ‘u Chian’a porta. La strada d’accesso al paese, sino dall’antichità, saliva dalla contrada Paratore e penetrava nel centro abitato dal quartiere del Fondaco, ove vi era l’unica fontana di acqua potabile (l’odierna ‘a Funtana) che, a rigore di logica, doveva essere inglobata all’interno della cinta muraria. È opportuno iniziare la visita guidata entrando da via di S. Antonino, via Roma e piazza Umberto I, percorso lungo il quale è abbastanza facile trovare il posteggio.

È da qui, dalla chiesa di s. Caterina, che dovrebbe cominciare un percorso turistico.Questa chiesa è molto antica ed è stata restaurata nel 1581. Opere importanti da vedere sono la s. Caterina d’Alessandria (1550), statua marmorea di bottega di Antonino Gagini; il Crocifisso, scultura lignea del secolo XVII, di bottega di fra’ Umile da Petralia; l’Immacolata (1808), statua lignea di Girolamo Bagnasco; il quadro di Madonna con Bambino e con s. Gioacchino e s. Anna (1753), olio su tela di Joseph Tresca; il Trapasso di s. Anna di ignoto del sec. XVIII (Agostino Scilla?). Si tornerà, seguendo l’antico percorso, verso la piazza sottana sulla quale troneggia la sconsacrata chiesa di s. Luca, in stile rinascimentale, non visitabile e tuttavia ancora imponente con la sua scalinata in pietra locale. In questo quartiere vi era la panetteria e l’ospedale.

Continuando sul percorso a mezza costa - l’attuale via Dante Alighieri - si giungerà alla base dell’acrocoro in cima al quale fu edificato, dai conquistatori musulmani, il castello del quale rimangono solo informi ruderi: vale la pena tuttavia di affrontare la salita, poiché dall’alto si abbraccia l’intera vallata del fiume Fitàlia spaziando, nuvole permettendo, sino al mare e alle isole Eolie. Il castello fu edificato intorno al 983 d.C. e rimase in uso sino al secolo XVII, sino a quando cioè fu abbandonato per le più comode dimore edificate intorno alla piazza soprana, oggi piazza s. Giacomo.”

E’ lungo la salita Castello che si trova la nostra a casa du casteddu.

“È opportuno continuare il percorso lungo la via Dante, per raggiungere il quartiere di s. Martino; si incontrano lungo il percorso vicoli e vecchie dimore caratterizzate dalla presenza delle opere murarie in pietra locale e ciaramini, cioè frammenti di terracotta di riuso (tegole, mattoni): l’economia di sopravvivenza di quei secoli duri non consentiva sprechi.
A questo punto del percorso si incontrano i resti della cinta muraria, di cui si è detto e si può vedere la torre del secolo XIII, posta a difesa e a via d’accesso  al percorso di ronda sulle mura.
La ex chiesa di s. Martino, oggi chiesa del Rosario, è opportuno visitarla, pur essendo una povera opera edilizia novecentesca; in essa infatti vi sono conservati: la statua della Madonna delle Grazie o della neve, perla marmorea di Galati, opera documentata di mano di Antonello Gagini (1534); s. Giuseppe col Bambino, statue lignee di autore ignoto del sec. XIX; un armadio, posto in sacrestia, opera lignea di artigianato locale (1831), nonché il modesto, ma datato e firmato, gruppo statuario di Gesù che consegna le chiavi a s. Pietro di Gabriele Cabrera di Naso (unica opera sinora conosciuta di questo autore del Valdemone).
Si salirà poi verso la piazza s. Giacomo, passando accanto al palazzetto Valenti, e si potrà visitare il Museo degli antichi attrezzi della civiltà contadina presso la Società Liberale di Mutuo Soccorso, fondata nel 1892.
Si percorrerà via Toselli. In cima al colle - posto di rimpetto e più in basso rispetto all’acrocoro del Castello – vi era la sede dell’Universitas Galatensis, caratterizzata dalla loggia a tre archi romanici, del secolo XIII, miracolosamente pervenuta sino ai giorni nostri. Su largo Toselli permane, oggi in riuso, la base della torre  du rroggiu vecchiu.
Tornando all’imbocco di via Toselli, si troverà davanti il monumento ai Caduti, opera di Francesco Sorgi, del 1930.
Voltando a destra, verso via s. Marco, si imboccherà il vico abate Crimi; qui si potrà visitare –su richiesta- un piccolo museo: Il Palmento, Museo di oggetti di vita quotidiana.
‘U parmentu, il palmento, è costituito da una vasca in muratura usata per la pigiatura e la successiva fermentazione del mosto, restituito alle vinacce; per estensione, si intende con il termine l’insieme degli ambienti usati per la pigiatura dell’uva, per la prima fermentazione e per la torchiatura. Le strutture del palmento contemplavano: u pistaturi, ove si pigiava l’uva a piedi nudi; da questo il mosto colava in un panaru, che fungeva da filtro; il mosto infatti poteva trascinare degli acini di uva che da questo venivano fermati; u tineddu, il pozzetto cilindrico nel quale si raccoglieva il mosto; u torchiu, la pressa che serviva per la spremitura delle vinacce, che era composta da una madrevite metallica e da un congegno a manovella che avvitandosi stringeva le vinacce contenute nel cestello. Quello qui conservato è un esemplare non molto antico - risale agli anni 30 - poiché si avvale già del torchio metallico: sino al primo trentennio del secolo XX, a Galati, la pressatura delle vinacce si praticava con il sistema arcaico della sospensione del peso: al vertice di un braccio di leva, costituito da un lungo tronco di albero, era sospesa, tramite un sistema di argani, una pietra calcarea di enormi dimensioni.
Nel locale è pure presente una raccolta di fotografie del paese sia paesaggistiche che di personaggi e costumi, dalla fine del secolo XIX sino agli anni Cinquanta del secolo XX.
Si tornerà sulla vicina piazza s. Giacomo ove si potrà vedere la lunga palazzata baronale, edificata tra il 1600 e il 1700, che si conclude con il maestoso palazzo del principe, attualmente inagibile per ancora non conclusi lavori di restauro; l’edificio è senza dubbio l’architettura civile più significativa del paese ed è caratterizzato dalla bella loggia con bifora che si ispira al Montorsoli.
Chiude  e  conclude  la  panoramica  della  piazza  la  chiesa di s. Maria Assunta, in stile rinascimentale a tre navate, già chiesa baronale e oggi matrice. Si possono ammirare, nel transetto di destra, una Trinità (1545), in marmo bianco di dimensioni michelangiolesche, di Antonino Gagini, mentre nel transetto di sinistra vi è il gruppo marmoreo della Annunziata (1552), ancora di Antonino Gagini.
Attualmente in un locale della canonica  vi  è  la  statua  lignea  del  secolo  XV  di s. Sebastiano, di scuola fiammingo-renana, identificata negli anni Ottanta dello scorso secolo, da Federico Zeri.
Il sacro edificio è arricchito da una vasta raccolta di dipinti del secolo XVIII di scuola conchesca.
Interessante è il dipinto di s. Francesco Saverio, posto sul primo altare della navata sinistra: studiato dalla specialista in iconologia Immacolata Agnoli, è stato datato alla prima metà del 1600, ma dopo il 1622, anno della canonizzazione del gesuita; il santo infatti è già raffigurato con l’aureola attorno al capo. Sono però di buona  mano  anche  il  quadro  dell’Assunta,  il  dipinto  di s. Giacomo, posto sopra l’arco della porta centrale, quello di s. Antonio di Padova e di s. Ignazio di Loiola tutti di scuola conchesca, alcuni firmati e datati Joseph Tresca 1753.
Segnalo pure un ciborio posto sul piano dell’altare della Trinità, nel transetto di destra.
Interessante è pure l’acquasantiera in marmo (1645-1647), forse di Sebastiano Ferrara, donata alla chiesa da Bernardo Amato, figlio primogenito del primo principe di Galati e il coro ligneo dell’abside, ove è pure collocato il quadro dell’Immacolata di Gaetano Mercurio del secolo XVIII.
Infine su via Cavour, dal lato Tortorici, si potrà visitare il pastificio Emanuele, risalente agli inizi del 1900, oggi acquisito dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Messina.
La visita al centro abitato si può dire conclusa, ma c’è anche altro da vedere, spaziando nel suo vasto territorio, posto nel contesto  dei monti  Nèbrodi.”

Visita guidata a Galati Mamertino nel Parco dei Nebrodi a cura di Salvatore G. Vicario, Ed. Zuccarello